Dazi e aziende, cosa sapere per muoversi su Cina e USA.
Articolo pubblicato su L'Arena il 28 Aprile 2025
L’errore più pericoloso che si può fare, dopo l’annuncio della sospensione (parziale) dei dazi Usa per 90 giorni, è sperare che tutto vada per il meglio e si tornerà al mondo pre-2 aprile», dice Roberto Luzi Crivellini, esperto di commercio internazionale, socio dello studio legale Dindo Zorzi e associati e fondatore di Legalmondo.
Perché è un approccio sbagliato?
In primis, perché sono rimasti in vigore dazi molto invasivi: 10% su tutti i paesi che commerciano con gli Usa, compresa la UE, 25% sull’acciaio e alluminio, 145% sulla Cina. In secondo luogo, perché è impossibile prevedere le azioni dell’Amministrazione Usa nel breve e medio termine: non si può escludere che i dazi restino, aumentino, cambino obiettivi o che intervengano altri fattori a sparigliare le carte sui mercati internazionali, come una escalation della guerra commerciale con la Cina. La sospensione temporanea dei dazi da parte degli Stati Uniti rappresenta una finestra preziosa, che va utilizzata non solo come una tregua, ma come un importante spazio d’azione: 90 giorni per rimettere mano ai contratti, rinegoziare clausole chiave e inserire leve di flessibilità che possano proteggere il business nei vari scenari futuri, verso gli Usa e anche verso altri mercati. Chi esporta oggi non può permettersi di «stare a vedere cosa accadrà»: è il momento di agire, e farlo in modo professionale e strategico.
Facciamo un passo indietro. Al netto dei dazi, esportare negli Usa non è un processo semplice: quali sono oggi le maggiori difficoltà per le nostre imprese?
In primis le normative e standard tecnici diversi per la certificazione e etichettatura dei prodotti, che richiedono uno studio dedicato al mercato Usa, specie per i prodotti che vengono venduti al consumo: alimentari, cosmetici, farmaci. Il secondo aspetto delicato è quello legato ai possibili contenziosi: gli Stati Uniti sono il mercato di gran lunga più litigioso del mondo. Operare sul mercato americano comporta la possibilità concreta di cause da parte di partner commerciali, clienti finali e concorrenti, con richieste di danni elevatissime e spese legali esorbitanti. Occorre dotarsi dei giusti contratti, costruiti e negoziati ad hoc per il mercato Usa, per evitare o mitigare i rischi di contenzioso.
Guardiamo invece alla Cina: quali sono le maggiori criticità dell’export nel Paese del Dragone?
Nonostante i grandi progressi registrati negli ultimi 15 anni, i principali ostacoli al commercio sul mercato cinese rimangono la contraffazione e la concorrenza sleale da parte delle imprese locali. Un esempio per tutti: si stima che circa il 30% dei vini venduti in Cina siano contraffatti. Un secondo fattore da considerare è la forte crescita della qualità dei prodotti cinesi, combinata con prezzi difficili da raggiungere per le imprese straniere. Un terzo elemento da considerare sono i costi del lavoro e dei servizi in costante crescita, soprattutto nelle città cosiddette first tier (Pechino, Shanghai, Guanzhou, Shenzhen) ma anche nei centri urbani in rapida crescita, come Chengdu, Chongqin, Suzhou, Nanjing: occorrono investimenti importanti per essere presenti su un mercato che diventa sempre più competitivo. La conseguenza è che è necessario dotarsi di una strategia di medio-lungo termine dedicata al mercato cinese: azioni necessarie per proteggere la proprietà intellettuale (in primis, la registrazione in Cina dei marchi e dei brevetti), selezione di partner commerciali affidabili, programmazione delle azioni e degli investimenti necessari per sviluppare gli affari.
In questa incertezza globale, tra le strategie ipotizzate dalle imprese c'è la ricerca di nuovi mercati, che possano compensare al possibile calo di vendite negli Usa. Realisticamente che tempi può richiedere l'approdo in nuovi mercati?
Diversificare è una strategia opportuna a prescindere dall’attuale problema dei dazi, soprattutto per imprese che oggi sono fortemente sbilanciate su questo mercato, perché hanno i maggiori clienti negli Usa o perché vendono a clienti che esportano i prodotti finiti negli Stati Uniti. L’approdo su nuovi mercati va fatto con metodo e richiede uno studio per identificare i potenziali nuovi paesi, comprendere se i propri prodotti possano essere competitivi, chi sono i principali concorrenti, quali azioni commerciali siano necessarie per esportare nel mercato di destinazione. È un percorso strutturato che richiede la definizione di processi necessari, a partire da un confronto interno tra proprietà e management aziendale e dalla definizione di business plan che assicuri gli investimenti e le risorse necessarie